Sono state settimane impegnative quelle che abbiamo appena vissuto in Senato. Il DDL sulle unioni civili è senz’altro il provvedimento più complicato passato per Palazzo Madama in questa legislatura. Comunque è andata. E, per quanto mi riguarda, non poteva finire meglio di così. Chi mi segue sa che avevo scelto di manifestare con chiarezza la mia opinione: sì alle unioni civili, provvedimento non più rinviabile nell’interesse di tante coppie italiane, non solo omosessuali; necessità di un nuovo provvedimento di legge che disciplini la materia delle adozioni, tra cui la stepchild adoption, nella sua complessità; ricerca, anche ostinata, del dialogo e del confronto, per giungere a un punto di equilibrio in grado di garantire l’approvazione del provvedimento.
Ho scelto di essere parte di quel gruppo di pontieri che, mettendo da parte le convinzioni ideologiche e il tatticismo politico, si è impegnato, silenziosamente, nell’avvicinare le parti. Per questo, ancora di più, il mio è semplicemente un sentimento di soddisfazione. Oggi arriva infatti a compimento un percorso durato più di venti anni. Le prime proposte di legge sulle unioni civili risalgono infatti all’XI legislatura (“il rapporto di unione civile è ininfluente rispetto ai diritti e doveri in materia di riconoscimento dei figli” si leggeva nella proposta di legge presentata nel dicembre 1993 da 9 parlamentari di sinistra, tra cui Nichi Vendola). Un cammino avventuroso, fatto di PACS, di DICO e DIDORE, mai tradottosi in decisioni finite a causa della costante trasformazione del confronto politico in scontro ideologico.
Oggi, invece, hanno vinto l’equilibrio, la moderazione, la voglia di dare risposte concrete a chi ha – o potrà avere – problemi concreti. Ed è per questo che oggi è un giorno buono, per tutti gli italiani.